Sull’ottimismo


Al termine del recente incontro "Crescere ed innovare in periodi di recessione", mi si è avvicinato un amico imprenditore  – che ha colto l’occasione del convegno per incontrarmi – e mi ha detto: <<non ti sapevo così ottimista>>. <<E’ vero – gli ho detto – il mio è stato un processo di maturazione>>, e gli ho spiegato, molto frettolosamente, perchè lo sono diventato.

Per lui ed a quanti oggi mi leggono voglio però dire meglio da dove nasce il mio ottimismo, e lo faccio con le parole di San Josemaria:

"Forse vi sembrerà eccessivo questo ottimismo, dal momento che non c’è uomo che non conosca i propri limiti e i propri insuccessi, e non abbia fatto esperienza della sofferenza, della stanchezza, dell’ingratitudine e forse dell’odio. Noi cristiani, in tutto uguali agli altri, come possiamo essere esenti da queste costanti della condizione umana?
Sarebbe ingenuo negare l’insistente presenza del dolore e dello sconforto, della tristezza e della solitudine nel nostro pellegrinaggio terreno. Dalla fede abbiamo appreso con certezza che tutto ciò non è frutto del caso e che il destino delle creature non consiste nel progressivo annientamento dei loro desideri di felicità. La fede ci insegna che ogni cosa ha un senso divino, perché fa parte dell’essenza stessa della vocazione che ci conduce alla casa del Padre. Tuttavia, questa comprensione soprannaturale dell’esistenza cristiana non semplifica la complessità umana; ma dà all’uomo la sicurezza che tale complessità può essere attraversata dal nerbo dell’amor di Dio, dal forte e indistruttibile cavo che lega la vita di quaggiù con la vita definitiva nella Patria."

 
 
 

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