Qualche anno fa insieme ad alcuni amici della rete STRATERGICA mi sono occupato della cosiddetta GENERAZIONE50. Il nostro obiettivo era favorire il reintegro nel mondo del lavoro di tante persone disoccupate a soli 50 anni.
Abbiamo realizzato diversi eventi anche coinvolgendo organizzazioni datoriali, sindacali ed i massimi vertici della Regione.
Non desidero con questo articolo ricordare la fatica che abbiamo fatto nell’attraversare il muro oppostoci dai dirigenti della nostra Regione (loro avevano lo stipendio assicurato) ma solo condividere una spiegazione scientifica di tanta giovane disoccupazione. E lo posso fare grazie ad un meraviglioso articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire lo scorso 12 dicembre 2020 a cura del prof. Lamberto Maffei (Neuro scienziato, vicepresidente Accademia dei Lincei.)
In passato, in tempi anche relativamente recenti lo scivolamento nella vecchiaia, per dir così produttiva, era molto lento in quanto lente erano le innovazioni tecnologiche, e il lavoratore non aveva problemi nel mantenere a un livello accettabile il suo contributo produttivo.
Ora la tecnologia è incalzante e lo sarà sempre di più in futuro e l’offerta del mercato per i lavori più prestigiosi e remunerati sarà nel campo della tecnologia più avanzata e a rispondere saranno i giovani e si può quindi dire che alla base del processo di rivoluzione sociale già in corso non c’è solo la rivoluzione tecnologica ma anche un’intrinseca ragione biologica.
A mio parere, con molta probabilità, le strategie di reclutamento nel lavoro saranno diverse da quelle attuali e non implicheranno posti a tempo indeterminato, ma lavori a contratto ben remunerati in funzione dei risultati ottenuti, un po’ come nel mondo del calcio: se giochi bene e fai vincere la tua squadra troverai ingaggi prestigiosi altrimenti verrai eliminato; nell’impresa verrai spostato a lavori di servizio nei quali le conoscenze tecnologiche più aggiornate non sono necessarie.
La nuova classe di giovani digitalizzati potrà avere successo nella guida dell’economia ma i risultati sociali dei rapporti umani non saranno ugualmente positivi.
La distanza tra i giovani rampanti e i vecchi precoci aumenterà enormemente, in sostanza con un ringiovanimento del Paese attivo a scapito dei più anziani.
Verso i 50 anni sarai, a una valutazione statistica che implica eccezioni e riaggiustamenti, inesorabilmente fuori: avrai naturalmente un salario di vecchiaia precoce che ti permetterà una vita decente.
Lo scopo è quello di avere “giocatori” utili che fanno vincere la “squadra”, in una sorta didarwinismo sportivo.
I giovani digitalizzati sono robotici, funzionano a meraviglia fanno parte del post-umano, soffrono anche loro tuttavia, forse inconsciamente, la corsa del tempo. Conoscono tutte le ultime meravigliose diavolerie del mondo digitale, ma non hanno cultura se cultura significa solidarietà, interesse per l’altro, sapere che esisti come essere relazionale che condivide libertà, gioie e dolori con l’altro e non sei un corpo isolato.
Purtroppo nel mondo iper-tecnologico diventiamo vecchi più in fretta ma non diventiamo incapaci di trasferire ai giovani la cultura del benessere sociale.
E vero che i pochi giovani (non dimentichiamo che fortunatamente ( o sfortunatamente fate voi…….) siamo un paese di vecchi che sono in maggioranza rispetto ai giovani. Quindi i cicli della vita sono ripetitivi ed occorrerà fare in modo che i vecchi possano poter vivere una vita dignitosa, e per questo obiettivo introdurre un reddito degli over 50, nella ipotesi che non lo abbiano già.
Viviamo già in una società dove l’esperienza di lavoro dei più anziani non viene valorizzata a scapito di imbelli informatici che per lo più non hanno la capacità di risolvere i problemi ma spesso li complicano. Chi comanda negli ambienti di lavoro anche pubblici approfitta di coloro che hanno conoscenze tecnologiche a scapito di coloro che risolvono i problemi della gente. A mio parerei vanno ripensate le procedure di reclutamento ddl personale anche se non soprattutto nel pubblico. Grazie a Roberto Lorusso che ci aiuta a riflettere sul tema.
Sarà che la tecnologia avanza e che è sempre più dei giovani rampanti ma l’organizzazione del lavoro e dei processi è fatta da persone che hanno sulle proprie spalle decenni di esperienza di analisi di procedi e problem solving
L’importante è fare in modo che anche i 50-enni siano sempre più pronti a star dietro alla tecnologia
Il futuro della scuola è nella digitalizzazione, nell’applicazione della tecnologia più innovativa agli strumenti didattici, che rendano la relazione studenti e insegnanti molto più interattiva e collaborativa. Una scuola 2.0 parte sicuramente dall’uso quotidiano di device innvovativi, come i tablet o le lavagne luminose, da una connessione wi-fi in classe, dalla possibilità di interagire anche da casa con compagni e docenti, ecc.. Ma non solo.
La digitalizzazione della scuola passa anche dalla formazione dei docenti, primo vero passo importante per condurre i nostri ragazzi nell’era dell’ interrattività e della scuola multimediale.
Affinchè anche i docenti possano offrire ai giovani ‘nativi digitali’ nuove possibilità di crescita scolastica devono studiare, formarsi. Anche se molti di loro sono diffidenti, hanno competenze digitali scarse e pensano ancora di poter tenere solamente lezioni frontali come una volta, sta al dirigente scolastico, al preside, agli Istituti nel complesso, sollecitare il loro entusiasmo, incoraggiarli verso nuove sfide e contribuire a questo cambiamento.
Grazie mille Roberto Lorusso, una docente cinquantenne.
Il periodo che stiamo attraversando è caratterizzato da una rivoluzione invisibile, una sorta di tsunami dal quale è impossibile cercare rifugio.
Mentre la tecnologia avanza senza sosta, in tutti i settori e tutte le categorie dello scibile umano siamo chiamati al cambiamento, ma mentre molti predicano il cambiamento sono in pochi a volerlo praticare in prima persona.
Siamo tutti chiamati a perseguire uno stile di vita che è quello del “miglioramento continuo” e della formazione costante in quanto la cultura dei nostri tempi è dinamica e per sua natura e non ammette l’ignoranza.
Questo nuovo lifestyle presuppone la riscoperta di un valori fondamentali come l’umiltà, la perseveranza, la creatività, in quanto ogni giorno abbiamo una nuova meta da raggiungere.
Per tutto quanto sopra esposto la mia personale opinione personale è che ci sarà sempre una “mano invisibile” (Adam Smith docet) ad equilibrare tecnologie e cultura ortodossa, pensiero ed azioni, uomo e macchina.
Non dobbiamo temere l’innovazione, questo probabilmente può solo danneggiarci, bensì dobbiamo avere fiducia nel futuro e nelle persone perché, come nel caso della pandemia, uniti possiamo farcela.
#secicredisivede
Risolvere i problemi umani, professionali e tecnologici quasi sempre non sono attribuibili a nozioni messe insieme e magari pompate da qualche pseudo intelligenza artificiale, ma da intuito, esperienza, capacità di visione: e gli anni di pratica e competenza qui pesano. Purtroppo lo si capirà troppo tardi e si perderanno preziose occasioni di trasmettere le migliori pratiche.
Ritengo che siano necessario porre almeno tre interrogativi.
1. Al di la di Giovani e Vecchi quanto pensate sia necessario un reddito di cittadinanza universale ? Un minimo : 200/300 € al mese che serva per assicurarti un pasto da mangiare nell” ipotesi la criticità della vita ti portino ad essere fuori ?
2. Quanto pensate sia importante imparare a rischiare e gestire i cambiamenti ?
Se tutta la vita hai fatto lo stesso lavoro, nella stessa azienda, é difficile impararlo velocemente ma è fondamentale impararlo e trasmettero alle nuove gerazioni.
3. Quanto ritenete fondamentale passare dal concetto di fare un lavoro al concetto di creare un lavoro ?
Questo secondo presuppone essere disposti ad assumersi dei rischi, doti commerciali, creative, relazioni umane e contatti. Se le prime sono forse di una mente giovane, le seconde sono requisiti di una persona che ha navigato nel mondo del lavoro diversi anni.
In questo caso il binomio Giovani/Vecchi puo trasformarsi da binomio a Connubio ?
Piero Tuzzo – Linkedin
Ho trovato questo tema molto interessante, certo la prospettiva di dover lavorare fino ai 50 anziché ai 66/67 è sicuramente molto allettante. Allettante perché permetterebbe ai più giovani di aver strada spianata per fare carriera e al contempo permetterebbe di risolvere il problema della disoccupazione giovanile. Per di più permetterebbe ai più anziani di godersi i soldi guadagnati nella propria carriera lavorativa, potendosi dedicare a se stessi con la salute e le forze che ancora a 50 anni sono proprie dell’uomo. Spesso infatti si arriva all’età di pensionamento già acciaccati e ciò preclude quanto suddetto. Sarei dunque sicuramente a favore del salario di vecchiaia a soli 50 anni ma attenzione, non perché credo che sarà sempre più difficile rimanere aggiornati all’innovazione tecnologica bensì perché mi piacerebbe l’idea di poter avere del tempo per viaggiare e godermi la vita senza preoccupazioni e come già detto con la forza e la salute che spesso mancano all’età di 70 anni. Tuttavia ho poco fiducia nel fatto che questo sia realizzabile nel nostro paese, piuttosto lo reputo realizzabile nei paesi del nord Europa dove la cultura e la gestione politico-economica sono ben diverse da quelle che caratterizzano l’Italia o i paesi a noi più simili come Spagna Francia ecc
Tema interessante, in quanto ha elementi di necessità e stimoli per affrontare discussioni su provvedimenti, come il salario garantito, che credo siano una aspirazione per (quasi) tutti ma sono destinati a rimanere per molto tempo una chimera essendo, ahimè, non attuabili, almeno nel breve periodo.
Nel frattempo che la società sia in grado di garantire una buona ‘anzianità’ a tutti, secondo me non bisogna demordere, perchè con l’età è vero che diminuiscono velocità nel cambiamento e resistenza alla fatica anche mentale, ma questi processi possono essere in qualche modo gestiti e ‘rallentati’ se ci convinciamo che le evoluzioni sociali sono inarrestabili e quindi ci ‘conviene’ cercare di cavalcare l’onda, senza necessariamente pretendere di esserne sulla cresta.
Fondamentalmente ritengo che l’età anagrafica non sia un vero e proprio limite. Sono una ferma sostenitrice dell’importanza della formazione continua e quindi credo che la soluzione non sia semplicemente sostituire gli anziani con i giovani..ma puntate sulla formazione, preparare il personale alle esigenze del mercato del lavoro, mantenerlo a pari passo con gli sviluppi e i progressi tecnologici. Anche perché il lavoro non è solo tecnologia, ma è soprattutto relazione con i dipendenti e tra i dipendenti. Se non si investe sugli uomini la tecnologia può fare ben poco.
Ho 63 anni. La mia attività di sempre è stato gestire il cambiamento mio e provare a farlo con e per gli altri. Sono stato fortunato; un po’ perchè costretto, un po’ perchè portato di mio, la cosa ha funzionato e ne ho ricavato una bella esperienza. Ho scritto che provo a gestire il cambiamento di altri, nella mia azienda, multinazionale, con molti dipendenti nella fascia 45-60 anni. Non è facile. Manca la predisposizione. La predisposizione da cosa deriva? Curiosità a scoprire una modalità nuova di fare ciò che si fa, ogni giorno, utilizzo di strumenti e processi nuovi che non sempre sono ben accetti; come mai? perchè serve imparare, formarsi? Formarsi impegna? e chi lo riconosce questo impegno? e se non è l’individuo a darsi la risposta da se ecco che il ciclo di chiude e si rimane al palo. E la scuola, gli educatori in generale? Ai nostri giovani insegnano ad essere i 50enni di domani? che devono continuare ad impegnarsi a formarsi durante tutto il ciclo lavorativo? Ho 63 anni, ho fatto bei mestieri, sto per andare in pensione e spero di aiutare a comprendere, a me ed altri, l’importanza di continuare ad imparare, sempre, per fare meglio di come si è fatto ieri, finchè il sole sorge. Buon 2021.
È vero!!! L’anziano precoce ha difficoltà di aggiornarsi perché la mente ha diminuito la capacità di imparare nozioni nuove e complesse.. Manca però un dettaglio importante caro Roberto: l’anzianità in questione prescinde dall’età anagrafica.
Meditate anziani d’ogni età.. Meditate.
Ho fatto un dottorato in miglioramento genetico e sicuramente i giovani ricercatori ne sapevano più del professore ordinario, ma non per questo l’ordinario era inadeguato rispetto al suo compito. Saper gestire la complessità non significa solo avere competenze informatiche. E poi c’è una sproporzione schiacciante fra il numero di giovani e il numero di over 50.
Caro Roberto, il tema che poni è in evidente controtendenza rispetto a quanto molti di noi stanno sperimentando sulla propria pelle: ad esempio, la cassa di previdenza degli ingegneri, alla quale faccio riferimento, calcola che non avrò diritto alla pensione fino ai 72 anni suonati.
Naturalmente questo pone dei problemi anche seri: mi sto chiedendo, ad esempio, che credibilità potrò avere a quella veneranda età continuando a fare il mestiere che faccio da sempre, che è di proposta e realizzazione di innovazioni organizzative e gestionali.
D’altra parte questa condizione mi costringerà rinnovare il mio impegno, a mantenermi aggiornato magari facendomi affiancare da persone più giovani ai quali trasferire le mie esperienze.
Non credo assolutamente che la soluzione possa essere la pensione di vecchiaia a 50 anni. Probabilmente non sarebbe economicamente sostenibile e oggi, grazie ai benefici di una vita più sana e meglio curata, a 50 anni siamo ancora giovani, belli e in piena forma; non è che con la pensione a quell’età rischieremmo di ritornare ad essere già vecchi?
Proprio per qlcuno dei tanti motivi di cui sopra , molti operatori amministrativi, tecnici,
pubblici o privati non sono riusciti a cavalcare la novità del lavoro meccanizzato cau-
sando rallentamenti nell’ esecuzione del loro lavoro e di conseguenza l’ aumento del costo del lavoro stesso. Sono stati sostituiti da giovani nati con giocattoli a computer, cioè
abili a manovrare computer e macchine automatiche. Purtroppo, la denunciata inadegua-
tezza del sistema dell’ istruzione alle richieste dell’ attuale mondo del lavoro ne fa lavo-
ratori non sempre all’ altezza delle aspettative e delle necessità del datore di lavoro.
Occorre quindi fare ricorso a nuove forme di rapporto di lavoro, magari con i cinquan-
tenni (!) che hanno maturato tanta esperienza, in attesa che la scuola capisca in quale direzione deve aggiornarsi ed evolvere. Si può estendere l’ analisi anche alla rappresen-
tanza politica, naturalmente.
Considerazione finale: per quanto ho visto, ascoltato, letto, valutato per la mia espe-
rienza di imprenditrice, queste situazioni, ancora oggi in bilico dopo anni in cui sono state
enunciate ma affrontate usando luoghi comuni, sono proprie di quei comparti (ammini-
strazioni, ministeri, aziende e fino ad arrivare alle famiglie ,grandi e piccole) che ancora
non riconoscono, o forse non conoscono, il grande aiuto che può venire dagli studi so-
ciologici, statistici, che soli hanno veramente al centro del loro lavoro l’ uomo con le sue
abitudini, e le sue necessità per programmare il suo domani.
Per essere pronti ad affrontare i cambiamenti epocali occorre aver metabolizzato
la ‘ Cultura del cambiamento ‘ con tutto ciò che comporta.