Una lettura imprenditoriale del duc in altum evangelico
“Prendi il largo – duc in altum – e calate le reti per la pesca” (Vangelo di Luca, cap. 5, versetto 4).
Così dice Gesù a Pietro, il pescatore, e ai i suoi collaboratori, che forse avevano appena finito di lavare le reti dalle alghe e dal fango del lago. Loro avrebbero potuto avanzare non poche scuse a chi gli ha fatto una proposta del genere: la stanchezza, che si fa sentire più acuta quando non si è pescato nulla; le reti già pronte per la pesca della notte seguente; l’ora del mattino non opportuna della pesca (non si va a pescare di giorno!).
Ma chi fa una proposta così assurda è Gesù, e Pietro gli risponde: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (ivi versetto 5).
Ah! quante volte in situazioni della nostra vita – quando compare quella stanchezza che nasce nel non vedere giungere i risultati attesi, quando pare che tutto sia stato un fallimento, o appena dopo un insuccesso professionale ed abbiamo tutti i motivi per abbandonare l’impresa – vorremmo sentire un amico che ci dice duc in altum, prendi il largo, ricomincia e vai alla grande.
Saper ricominciare è il segreto del successo; saper ricominciare significa fare tesoro degli errori e delle lezioni scaturite dalla sconfitta e provare un’altra volta.
Per nostra fortuna un amico ci dice di riprovare e questa volta in un altro modo: di giorno e non di notte. Inizialmente la nostra intelligenza si rifiuta: l’esperienza ci dice che di giorno non si pesca. Che facciamo? Possiamo declinare l’invito, ma se lo vogliamo accettare dobbiamo mettere da parte la nostra esperienza e agire con fiducia in chi ci dice duc in altum.
E così, abbiamo preso il largo… abbiamo gettato le reti, che sono in mare non grazie alla nostra esperienza ed abitudine. Allora perché? Per obbedienza? Per abbandono o fiducia in qualcun altro? Perché amiamo il rischio? Perché siamo creativi? O perché preferiamo fare una faticaccia piuttosto che far capire ad un amico che non ci si fida di lui? Perché abbiamo gettato le reti per la pesca?
Gesù non è mai stato un pescatore professionista, Pietro sì. E che professionista! Anzi, che imprenditore! Aveva almeno due barche e con lui lavoravano il fratello e diverse altre persone. Pietro, diciamolo chiaramente, aveva tutti i motivi per infastidirsi. Si sarà detto – come di solito pensiamo noi –: ma guarda questo, viene da dove viene, non capisce nulla di questo settore e vuole darmi consigli; andasse a fare il consulente a qualcun altro! Andasse alle imprese del mobile imbottito, ai meccanici… ai falegnami…
Perché Pietro prende il largo e cala le reti? Quali altre competenze o esperienze di vita sta mettendo in atto? È possibile che stia rispolverando un po’ di umiltà, o forse sta ricordando di quando obbediva a suo padre.
Sicuramente mette in pratica la virtù dell’umiltà anche nella misura in cui percepisce che le possibilità di successo (fare profitti) non sono né prevedibili, né determinabili da lui stesso, dal suo operato dalle sue competenze. Ma per far questo si fa coraggio e non mette in discussione la possibilità di fare una buona pesca anche di giorno (ai nostri problemi dobbiamo riconoscere che non esiste solo la nostra soluzione) e va contro corrente dando fondo alle proprie energie senza curarsi dei giudizi degli altri pescatori (i nostri bravi colleghi imprenditori tutti allineati e uniformati agli standard comportamentale e di giudizio di Confindustria). Non rimane sconfitto da una notte senza risultati, ha desiderio di riscatto, sana voglia di vincere.
Il risultato? Una grande quantità di pesci. Una pesca mai fatta prima: le reti sembravano rompersi. “Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano” (ivi versetto 7).
Questo è il premio che riceve in cambio del suo sì, detto a chi non si intendeva di pesca. Ha rischiato di brutto diremmo in coro. Pietro, a mio parere, dice di sì perché sa che Gesù gli vuole bene. Sa di essere amato e ricambia con un sì carico di fiducia. Non dice di sì ad un improvvisato consulente della pesca, dice di sì ad un esperto di Amore.
È qui il nocciolo della questione… Quando il nostro troppo sapere, la ventennale esperienza si trasformano in mancanza di umiltà, non ci consentono di vedere oltre o di capire chi abbiamo di fronte. E per veder oltre ci vuole il cuore e non i tecnicismi e le buone prassi dettate dalle leggi di mercato, dai bilanci e dai sistemi della qualità. E’ con il cuore che Pietro intuisce di poter dire di sì.
“Ti ostini a camminare da solo, facendo la tua volontà, guidato esclusivamente dal tuo giudizio… e, lo vedi! Il frutto si chiama ‘infecondità’” : Il frutto si chiama insuccesso, fallimento.
Il cuore insegna alla mente come si apprende dagli altri, anche da chi apparentemente non ha nulla da insegnarci. Invece: quante volte come imprenditori, politici, ecc., ci ostiniamo caparbiamente ad essere soli. Il nostro orgoglio ci sussurra: tu sei il più bravo, tu sai tutto, tu sei il migliore; i consiglieri di amministrazione? Lasciali dire… i soci? Ma lasciali perdere… i dipendenti? Manco a parlarne… Se non siamo capaci di sottomettere le nostre idee al giudizio di chi ci circonda non faremo altro che darla vinta alla nostra superbia. E allora quante nostre iniziative o decisioni non produrranno che reti vuote!
Il cuore consente di vedere e di intuire quello che un tuo dipendente, un tuo cliente, non riesce a dirti esplicitamente. Il cuore consente di capire i veri bisogni che devono essere soddisfatti da te e dalla tua impresa.
Il duc in altum, che ci costringe a cambiare i consolidati modelli mentali, è faticoso da praticare per il nostro orgoglio, vero, ma che risultati! : “Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano” . Altro che pareggio di bilancio!