La cultura della condivisione si diffonde sempre più.
Soltanto qualche anno fa lo Sharing era limitato a pochissimi beni come i libri e software. Negli ultimi due anni invece quasi qualsiasi cosa è condivisibile.
Purtroppo però non stiamo percorrendo la via della “Sharing economy”.
Tutti abbiamo tifato per la condivisione come dono. La possibilità di utilizzare in comune una risorsa. Gestire relazioni orizzontali (tra pari) : persone o organizzazioni, dove spariscono i confini tra finanziatore, produttore e consumatore. Tutti abbiamo sperato alla presenza di una piattaforma tecnologica, in cui le relazioni digitali vengono gestite e promosse grazie alla fiducia generata da sistemi di reputazione digitale.
Ahimè, oggi, stiamo “nascondendo” veri e propri servizi della vecchia economia dietro la parola “Sharing”, basti pensare al famosissimo Uber.
Uber è un’azienda che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti.
Fondamentalmente Uber è un taxi virtuale? No molto reale anche se non si chiama Taxi, e non risponde a norme ed altre forme di giustizia sociale.
Ma ai nostri occhi così non appare per noi Uber è condivisione, ci permette di risparmiare, ci permette di sentirci meglio con noi stessi.
Così come Uber si potrebbero citare altre forme di condivisione, siamo passati dal “Couch surfing” – la condivisione gratuita di un posto letto nella propria casa – ad “airbnb” – la condivisione a pagamento di un posto letto nella propria casa.
La vecchia economia, mette le mani su tutto. Il concetto di condivisione non è più sinonimo di cooperazione, l’evoluzione delle idee di Sharing guidate dal profitto ne ha completamente stravolto il significato.
La condivisione rischia, forse, di diventare la nuova schiavitù moderna?