Ricevo da Paolo Cacciari in risposta al mio aritcolo:
Lavoro e Famiglia: armonizzazione e non conciliazione
Caro Roberto, stimolantissimo!
Anch’io credo che la grande battaglia culturale, politica, economica sia quella di riconoscere il lavoro in tutte le sue diverse forme; non solo quello generato all’interno dei rapporti di produzione delle merci, variamente (male) retribuito, mercificato, alienato.
Serve una ridefiniziaone di lavoro, recuperare un concettualizzazione ampia. Il lavoro come impegno socialmente utile delle facoltà umane individuali: dal lavoro artistico al lavoro coordinato complesso, dall’autoriproduzione al lavoro di cura… Dobbiamo rifiutare che ciò che vale sia solo ciò a cui il mercato da un prezzo! Liberare il lavoro dalla camicia di forza del rapporto sociale di produzione capitalistico.
In questo quadro il lavoro domestico, familiare, di allevamento e educazione dei figli, di cura degli anziani e dei deboli… (che alcuni – Wuppertal Insitute – hanno calcolato, se dovesse essere retribuito, supererebbe il Pil!), è una grandissima parte.
Mi permetto però di aggiugere una riflessione. Bisogna tenere conto che oltre al rapporto di produzione capitalistico, c’è anche un rapporto di dominio, discriminazion e subordinazione che deriva dal patriarcato e che ha 5.000 anni di storia e che costringe le donne ad una divisione del lavoro nient’affatto naturale. Oltre alla divisione capitalistica del lavoro (lavoro di direzione contro lavoro subordinato), c’è una divisione sessuale del lavoro che vanno combattutte assieme.
Ciò che tu proponi – armonizzazione, non semplicemnte conciliazione – io lo chiamerei: progressiva riduzione della sfera del lavoro subordinato e allargamento della sfera del lavoro conviviale (per usare una espressione illichiana).
Un abbraccio, Paolo