Qualche giorno fa, mi sono imbattuto nella lettura di un bellissimo editoriale dell’Avvenire. La giornalista, Marina Corradi, racconta la storia di una giovane ragazza in cinta. Ora mi direte: ma cosa c’è di nuovo? D’altronde questi sono fatti, ormai divenuti all’ordine del giorno: due persone che trasformano un atto di amore in un momento di totale incoscienza. E se nasce un bambino? Poi si pensa, è la risposta di una società cinica e priva di valori. Tornando alla storia, questa ragazza, non avendo trovato il coraggio per abortire, in una calda giornata di fine Agosto, in una Roma deserta, si presenta al Comune per chiedere aiuto agli assistenti sociali. La risposta: possiamo darti una casa per due mesi, poi si vedrà. Caspita! Come dice la Corradi, per questo bambino il precariato è arrivato ancora prima di nascere. La salvaguardia della vita dovrebbe essere una priorità assoluta per l’uomo e il Comune di Roma e più in generale le istuzioni del nostro Paese dovrebbero dare precedenza ed essere in prima linea nella risoluzione di questi problemi, facendo rete con le realtà che già operano in questo senso. Per la ragazza a questo punto sarebbe stato più facile, scegliere la via scartata in precedenza. Invece, accade il miracolo. Approda ad un centro di Aiuto alla Vita, dove offrono a lei e alla creatura che porta in grembo una speranza d’amore. Storie come queste ci mettono di fronte alla triste realtà di questi giorni: un sì o un no possono condizionare un’esistenza. L’epilogo finale, però, ci dice anche che la provvidenza del Signore arriva quando ne abbiamo più bisogno.