Vi propongo delle mie riflessioni sul "lavoro" espresse in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista pugliese "Primal Free Time".
Leggete l’articolo e condivete qui osservazioni e commenti…
Molti pensano e vivono il lavoro come una grave punizione. Pochi conoscono e vivono il lavoro come mezzo per continuare la creazione iniziata da Dio.
Visto in questa prospettiva io ho cominciato a pensare di essere un lavoratore di una impresa più grande della mia; e visto che per mestiere faccio il consulente mi stuzzica l’idea di sentirmi un “consulente di Dio”. Non mi fraintendete – non intendo dare consigli a Dio – voglio solo dire che è bello sapere che il proprio capo è Dio ed il mio lavoro di consulente se fatto bene è utile ad una impresa più grande della mia che si configura anche come impresa soprannaturale.
Molti, sbagliando, considerano il lavoro un fine ma è bene dire subito che trattasi invece di un mezzo. Un mezzo per dar vita e far crescere una famiglia, ma anche un mezzo per avvicinare gli altri a Dio con il nostro esempio di buoni cristiani. In sostanza il lavoro può essere anche la modalità con la quale Dio desidera che io impari ad essere uguale a suo Figlio. Non possiamo dimenticare che Cristo ha lavorato, nella bottega di Giuseppe, sino alla età di 30 anni. Ed in quegli anni chi sa quanta gente avrà avuto modo di conoscere meglio Dio grazie al lavoro ben fatto di Giuseppe e suo Figlio.
<Nelle mani di Gesù il lavoro, un lavoro professionale simile a quello che svolgono milioni di uomini nel mondo, si trasforma in un lavoro divino, un lavoro redentore, un cammino di salvezza>1.
Oggi nelle imprese si parla di qualità certificata. Il lavoro delle persone viene definito “buono” se rispetta una norma e viene certificato da un ente ad hoc. Ma chi certifica un lavoro fatto per amore di Dio? Io non conosco enti che offrono questo servizio. Ed infatti coloro ai quali mi sono rivolto han detto di non poter neanche immaginare l’esistenza di una norma che certifichi un lavoro fatto per amore di Dio. Allora è necessario dare una spiegazione.
Per amore di Dio significa lavorare con “rettitudine di intenzione”. Ma capisco che questa affermazione è meno chiara della prima. Quindi ritorno indietro e dico che: se lavoro solo per me (per la mia ricchezza materiale, per il mio successo, la mia carriera, per soddisfare la mia vanità, ecc.) non lavoro con rettitudine di intenzione; ma se nel mio lavoro sono sempre presenti il successo e la realizzazione degli altri, la possibilità di servire gli uomini per amore di Dio, questa è rettitudine di intenzione. A Dio piace il mio amore per gli altri perché con questo amore lo ringrazio di quello infinito che lui ha per me: amore gratuito che mi dona senza condizione.
E’ bene ricordare a questo punto che tipo di lavoratore piace a Dio. Vi ricordate Caino e Abele? Voi chi vorreste essere? Io vorrei essere Abele per offrire a Lui i migliori risultati del mio lavoro (Abele offrì le parti migliori dei primogeniti del suo gregge e Caino alcuni prodotti della terra2) e di certo non vorrei mai rispondere al Signore cosi come ha risposto Caino dopo aver ucciso Abele: “sono io forse il custode di mio fratello?”3.
Dobbiamo avere sempre presente il fatto che con il nostro lavoro – ben fatto e sempre attento alle piccole cose – siamo di fatto responsabili (custodi) dei nostri colleghi perché loro vedono, attraverso noi, Dio che lavora. E Dio non ha mai fatto cose brutte. Dobbiamo essere figli di Dio che con il loro lavoro, partecipano al mantenimento e al progresso di tutta l’umanità. Questo significa rettitudine di intenzione.
Vorrei concludere confidandovi quanto altro ho appreso nel lavorare in questa Impresa Straordinaria: ho imparato che il mio lavoro è la mia completa dedizione a Dio, il mio lavoro è la mia vocazione soprannaturale. Nel lavoro imparo ad essere più maturo e responsabile praticando virtù naturali che sono il fondamento di quelle soprannaturali.
La mia vocazione divina – essere un buon cristiano – mi richiede di fare meglio il mio lavoro umano (quello di tutti i giorni) sforzandomi di fare cose perfette da offrire a Dio.
Buon lavoro… ma che sia “santo”.
1. San Josemaria Escrivà – lettera del 15.10.1948, punto n.3
2. Genesi 4,3-4
3. Genesi 4,9