Nelle mie ultime riflessioni, un pensiero ricorrente è la preoccupazione che fra le conseguenze della crisi economica in atto, l’impresa possa trascurare le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia.
“Non possiamo lasciare che l’economia cambi la società in modo tale che non ci sia più spazio per le famiglie. Al contrario dobbiamo creare una società in cui il lavoro soddisfi alcuni bisogni dell’individuo e la famiglia ne soddisfi altri” – ha detto uno dei maggiori esperti mondiali di strategie e progetti per la conciliazione tra famiglia e lavoro Bradley Googins, fondatore del Boston College Center for Work& Family, un istituto americano in cui si studiano le politiche aziendali family-friendly.
La relazione tra famiglia e lavoro è fondamentale, anche in periodi di recessione, sia per la qualità del lavoro che per la qualità della vita e per la felicità delle persone e delle famiglie.
Il conflitto tra vita professionale e vita privata compromette la salute ed il benessere degli individui, oltre che lo sviluppo dell’impresa. Anzi, dal punto di vista delle aziende, la conciliazione lavoro/famiglia costituisce anche un obiettivo di business, perché permette sia di ottenere effetti positivi sulla qualità del clima aziendale, sull’attrattività dell’azienda nel mercato del lavoro, sulla produttività dei lavoratori, favorendo sia la riduzione del tasso di assenteismo, sia una crescita dei livelli di motivazione e soddisfazione dei lavoratori.
Dunque, la chiave del successo di un’azienda sta anche nella motivazione e nella fidelizzazione del personale. Avere dei lavoratori sereni fa bene alle imprese e alla società e, da non sottovalutare, incoraggia le coppie a pensare ad allargare un po’ di più le loro famiglie.
Ciò è possibile attraverso modelli di comportamento aziendali in cui prevale la convinzione che il benessere delle persone è fondamentale per la motivazione e la produttività, vale a dire, in cui le politiche di conciliazione assumono un ruolo centrale nelle strategie di sviluppo e di valorizzazione delle risorse umane.
Nel Nordest italiano si stanno applicando forme innovative per sostenere le famiglie contro la recessione in atto. Accordi tra datori di lavoro e sindacati per erogare servizi aggiuntivi attraverso il “metodo della sussidiarietà”, al fine di creare un nuovo sistema di “welfare territoriale”. Vale a dire, non più soldi in busta paga ma l’equivalente in buoni spesa o voucher per servizi sanitari o l’acquisto di libri di scuola: una forma di retribuzione integrativa non monetaria.
Un ottimo esempio di welfare sussidiario è stato attuato da una multinazionale bellunese produttrice di occhiali. L’azienda, che si è posta il problema di migliorare la situazione economica delle famiglie dei lavoratori, ha deciso di integrare la retribuzione con benefici non monetari: ai lavoratori sarà permesso di usufruire di un carrello della spesa presso cooperative della grande distribuzione della regione. In questo modo gli effetti positivi si potranno avvertire anche sull’economia del territorio.
La regione Lombardia ha istituito un premio per le imprese e gli enti pubblici che rendono più semplice la vita familiare dei lavoratori. In Trentino Alto Adige, attraverso una convenzione con il Dipartimento nazionale per le politiche della Famiglia è stato sperimentato l’Audit Famiglia e Lavoro, un sistema di valutazione degli interventi di conciliazione tra famiglia e lavoro. Una sorta di certificazione che consentirebbe di monitorare le modalità con cui un’organizzazione attua le politiche di gestione del personale orientate alla famiglia attraverso campi di azione come orario, processi e luoghi di lavoro, politica d’informazione e comunicazione, competenza dirigenziale, sviluppo del personale, componenti della retribuzione e fringe benefits, servizi di supporto alla famiglia.
Tutti esempi di buone pratiche che mettono in evidenza come, spesso, la recessione possa essere vissuta come un’opportunità.