Fare impresa vuol dire, innanzi tutto, organizzare persone e mezzi (materiali ed immateriali) per conseguire un profitto.
Le imprese si organizzano per progettare, realizzare, vendere ed assistere un prodotto/servizio che soddisfi un bisogno espresso dal mercato. In realtà non c’è solo il mercato tra i destinatari dell’azione di una impresa. Essa, infatti, si relaziona con molti soggetti pubblici e privati di cui ha bisogno.
Una impresa è soggetto attivo di tutto quello che avviene nel territorio in cui è insediata. Sempre di più oggi le imprese vengono chiamate a esercitare significativamente la loro responsabilità sociale.
E’ cosa ormai condivisa la nozione che buon imprenditore è colui che investendo denaro in idee, tecnologie, ricerca e personale, contribuisce alla realizzazione del bene comune e alla prosperità della nazione. Allora bisogna apprendere che si deve fare profitto sapendo rispettare la dignità dell’uomo (capitale umano creativo dell’impresa), cercando di ridurre l’inquinamento, senza sprecare risorse, utilizzando le nuove tecnologie per creare condizioni di lavoro migliori e per costruire prodotti che durano nel tempo. Insomma una gran bella sfida se si pensa che le imprese spesso vengono chiamate a praticare la solidarietà sociale.
Naturalmente queste cose un’impresa le deve saper fare anche se non è insediata in una Learning City, ma di certo coloro che fanno impresa in una Learning City sono persone fortunate. Qui, infatti, a differenza di quello che si possa pensare, le cose non si complicano, perché il tessuto collettivo, l’aria che si respira in città entra in azienda.
In una Città che apprende le imprese sono perfettamente integrate con tutti i soggetti che incontrano ed il clima che si vive in azienda è quello di un grande laboratorio di idee che si avvantaggia di quanto si impara a teatro, nelle associazioni di volontariato, al club, in palestra e cosi via. E lo stesso si può dire di questi luoghi che si avvantaggiano di competenze quali la pianificazione, l’audacia, ecc, che si apprendono in azienda.
Poiché al centro di tutto c’è sempre l’uomo, se parliamo di impresa dobbiamo parlare dell’uomo imprenditore. Quindi tutto quello che abbiamo detto fin qui, sarà possibile se l’etica dell’imprenditore è un’etica della prima persona (cioè l’etica che lo riguarda e non l’etica degli altri), che gli consente di saper rispondere a domande come ad esempio “quale modo di vivere è migliore e degno per me, per la mia famiglia e per la mia impresa?”. Se un imprenditore ha solo voglia di arricchirsi – e pensa ed agisce guidato da una ragione tecnico-scientifica o prettamente finanziaria – non sarà mai capace di vedere i reali bisogni dell’uomo e della collettività. E conseguentemente non sarà mai in grado di promuovere una economia che abbia l’uomo come fine e non le merci. In una Learning City, o comunque in una società che voglia uscire da una crisi finanziaria globale e pesante come quella che stiamo vivendo, l’economia deve ritornare ad essere un mezzo al servizio dell’uomo, non il fine che pone l’uomo a suo servizio. Negli ultimi anni abbiamo promosso una economia che ha prodotto solo merci (e non beni) per far crescere il PIL e che ha trasformato in merce anche l’uomo. Un’economia che ha dimostrato tutta la sua debolezza e insostenibilità e alla quale si possono porre correttivi se le imprese si predispongono alla riflessione, all’apprendimento e quindi al cambiamento.
Le crisi sono sicuramente il momento migliore in cui le imprese possono crescere e rinnovarsi, sono un’opportunità di apprendimento unica di cui possono beneficiare le intere comunità nelle quali sono inserite.