Le madri costrette a licenziarsi dopo aver avuto un figlio rappresentano una quota MOLTO significativa e sicuramente scandalosa.
Lasciando da parte le donne di quasi 50 anni – che per ragioni anagrafiche raccontano discriminazioni subite ormai qualche decennio fa – le madri di meno di 30 anni che denunciano "prepotenze" da parte dei datori di lavoro sono il 13 per cento. Significa che, in questi anni Duemila, ci sono ancora molti, troppi imprenditori che fanno firmare lettere di dimissioni in bianco alle giovani donne neo assunte. Lettera da utilizzare non appena si presenta il ‘problema’ di una gravidanza.
Vuol dire che, mentre in questo decennio la produzione di beni e servizi è stata completamente rivoluzionata dai progressi dell’informatica e dalla globalizzazione, in Italia troppe aziende continuano a considerare inconciliabili la maternità e una piena attività professionale. Tanto da arrivare all’uso esasperato del mobbing, a fare pressioni, a creare condizioni insopportabili per le donne, costrette alla fine ad arrendersi e a lasciare il posto. Oppure, ancora più drammaticamente, a rinunciare alla maternità (e questo è per me il fatto più grave).
C’è da vergognarsi. Tutti i buoni imprenditori soffrono per l’arretratezza di una parte non trascurabile di colleghi che tranquillamente frequenta con altezzosità le sedi di Confindustria. Eppure oggi gli strumenti per evitare gli eventuali aggravi di costo legati a una maternità sono a disposizione, così come leggi incentivanti per progetti di conciliazione famiglia-lavoro. Le norme sul part-time sono state riviste più volte per equilibrare le richieste delle lavoratrici da un lato e le esigenze delle imprese dall’altro. Sono state introdotte clausole elastiche, reversibilità, possibilità di effettuare ore di straordinario. E ancora ci sono le formule verticali, quelle orizzontali, il job sharing (lavoro condiviso). Per non parlare di tutto quel lavoro che si può fare da casa grazie alle tecnologie web.
Certo, si può migliorare ulteriormente la ‘cassetta degli attrezzi’ a disposizione, ma ciò che risulta grandemente deficitario, da noi, è un reale cambiamento nei modelli organizzativi delle imprese. Solo poche aziende hanno compiuto il necessario salto culturale verso una flessibilità non unilaterale, con orari elastici e ‘personalizzati’, con una valutazione basata più sui risultati che sulla presenza.
Solo da poco il sindacato si è impegnato nella contrattazione di secondo livello per conquistare servizi di cura e agevolazioni. Occorre invece promuovere modelli strutturali che premino il merito, le capacità organizzative e di risposta, l’inventiva femminile, lasciando però spazio e tempo ai compiti di cura familiare.