Il mio Intervento sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 10 febbraio 2012
«Il PIL misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta»; con queste parole profetiche Robert Kennedy concludeva nel 1968 il suo storico discorso sul PIL che denunciava tutti i limiti di quell’indicatore di misurare il benessere dei popoli. Da allora tutti cercano un indicatore alternativo che non potrà esserci in quanto il benessere è “soggettivo”. Risponde a quello che un popolo vuole essere e non a quello che vuole avere. Una cosa però si è riusciti a fare: mettere d’accordo una pluralità di studiosi che attribuisce all’eccessiva avidità dell’uomo, al consumismo sfrenato e all’ossessiva ricerca del profitto (elementi che favoriscono la crescita del PIL) una grossa parte di responsabilità degli accadimenti che stiamo vivendo.
L’economista Richard Easterlin nel 1974 evidenziò che nel corso della vita quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, poi comincia a diminuire. È il cosiddetto paradosso della felicità: per inseguire la ricchezza diventiamo più poveri nelle relazioni e più infelici. E’ stato il prof. Stefano Bartolini, di recente, ad auspicare il passaggio dalla società del ben-avere a quella del ben-essere: dunque minore attenzione ai beni materiali e ai modelli consumistici, maggiore attenzione ai beni relazionali, all’ambiente, alle “città a misura di persona”.
Sono gli stessi temi che questi giorni sono sotto i riflettori in Puglia grazie al tour di Serge Latouche, teorico della “decrescita serena”, che propone un progetto sociale alternativo, basato sulla sobrietà, sulla tutela e sul rispetto dell’ambiente. Un modello economico che sia in grado di fornire i beni materiali sufficienti per soddisfare i bisogni delle persone recuperando, al tempo stesso, la cultura del dono cancellata dall’attuale società globalizzata e consumistica dove anche le relazioni sono merce.
“Nessun decide di cambiare stile di vita se non vi è costretto”, siamo arrivati a questo punto o vogliamo, subito, con una scelta consapevole e ragionata decidere autonomamente che è necessario cambiare? Ci fidiamo che l’attuale classe politica possa facilitare il cambiamento rendendocelo meno doloroso? Non vivendo con questa fiducia penso sia opportuno assumerci la responsabilità, come cittadini, di adoperarci personalmente. Dobbiamo innescare un circolo virtuoso, che non prevede la delega in bianco ai partiti, e sia capace di autoalimentarsi per favorire la diffusione dei migliori valori: legalità, sobrietà, solidarietà, in poche parole del Bene Comune. Lo dobbiamo fare per amore ai nostri figli e del prossimo, partecipando alla vita democratica del Paese.
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