Noi italiani siamo i terzi consumatori mondiali, dietro Messico e Arabia Saudita e primi in Europa. Pure gli Stati Uniti sono dietro di noi, anche se da loro si consumano bevande gassate in grande quantità e, quindi, questo dato potrebbe essere un po’ falsato. Resta il fatto che, in Italia, ogni anno finiscono nella spazzatura 400mila tonnellate di Pet e che l’80% delle bottiglie d’acqua viaggia su gomma, compiendo percorsi anche di migliaia di chilometri e intasando strade e autostrade.
Sul nostro consumo di acqua in bottiglia ha una grave e grande responsabilità la pubblicità che, ultimamente, ha anche cambiato messaggi per attirare i potenziali consumatori. Infatti, se fino agli anni ’90 le aziende puntavano sulle qualità salutistiche dell’acqua, oggi la pubblicità esalta le “doti” del contenitore. E quindi, abbiamo bottiglie “prodotte senza petrolio” e altre “completamente biodegradabili”.
In sostanza, dopo aver ricevuto multe e richiami dall’Antitrust per pubblicità ingannevole, le aziende imbottigliatrici rincorrono l’aumentata sensibilità ecologica dei consumatori, parlando delle bottiglie. Che, però, non potranno mai essere più eco-compatibili dell’acqua del rubinetto.
E’ bene sapere che in Italia la produzione media è di 12 miliardi di litri all’anno per un giro d’affari di 2 miliardi e mezzo di euro. A fronte di questi guadagni enormi, le aziende pagano canoni di concessione per lo sfruttamento delle sorgenti davvero irrisori. Si va da un minimo di 0,2 euro al metro cubo chiesto dalla Campania, a 2 euro per metro cubo del Lazio, ai 3 euro per mille litri del Veneto. Tutte le altre stanno in mezzo. Se pensiamo quanto costa una bottiglia d’acqua, cogliamo immediatamente la sproporzione tra quanto guadagnano le aziende e quanto perde, ogni anno, lo Stato.
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